sabato 30 maggio 2009

A BELLO, TI LOVVO


E' la seconda volta che ci provo oggi, a scrivere un nuovo post, poi qualcosa accade e ciccia.
Ho sognato Veronesi. Veronesi lo scrittore non l'ex ministro. Mi diceva:
- Quand'è che scrivi un nuovo libro?
e io rispondevo:
- Un altro giro di spritz?
D'altronde, noi Nardozi con un zeta abbiamo da sempre problemi insormontabili con la burocrazia.
- Lei si chiama?
- Monica Nardozi con una zeta.
Questa è la frase di routine.
Fa parte della mia vita da che ho memoria di me; come se me la portassi impressa sulla medaglietta di ferro che hanno i militari assieme al gruppo sanguigno
- AB positivo, Nardozi con una zeta-.
Nardozi con una zeta.
Compaio quasi dappertutto, ovunque ci siano documenti ufficiali, come Monica NardoZzi.
Attestati, pergamene, elenchi, graduatorie, corrispondenza, e mail che non arrivano.
Sempre sta cazz'e doppia zeta.
La gente, il mondo, l'umanità si rivolge a me come Nardozi con due zeta.
Ho pensato per un lungo periodo della mia vita di farmi cambiare il cognome. Se il mondo non si fosse piegato all'evidenza di quell'unica zeta, l'avrei fatto io. Mio padre dopotutto, non ci sarebbe rimasto male.
- Tua figlia ha cambiato cognome!
- Quale?
- Monica
- Chi?
Nel pomeriggio mi sono sottoposta a depilazione integrale. L'estetista mi parla di una continuità di cerette. Annuisco fingendo di aver afferrato il senso arcano di questo enunciato.
Una continuità di cerette..
Ho sognato, oltre a Veronesi, lo scrittore e non l'ex ministro, di avere un figlio.
Ogni volta che faccio questo sogno, questo onirico figlio finisce sempre per trasformarsi in Gianfilippa. Il sogno inizia che ho un figlio di dimensioni minuscole, mi distraggo un attimo e si trasforma nel gatto, il mio gatto Gianfilippa per gli amici Pippa. Pippa poi comincia a chiamarmi mamma. Nello specifico del sogno, il figlio-gatto-Pippa, veniva divorato da una specie di bestia enorme, zoologicamente incatalogabile, incazzata e parlante.
Mi spaventa l'idea di avere un figlio perché temo di non volergli bene abbastanza, o di non volergliene affatto.
Perché temo che potrei avere voglia di abbandonarlo, di liberarmene, di scordarmelo in macchina sotto il sole e ritrovarlo squagliato dopo due ore di aperitivo.
Temo anche le conseguenze penali di questa dimenticanza.
Temo di essere una madre rigida e anaffettiva, come lo è stata la mia.
Temo di provare fastidio come mi accade da sempre, nel dimostrare affetto, nel fare effusioni, d'altronde, non sono mica un gatto, somiglio parecchio, ma di certo, un gatto non sono.
Tutti i miei ex, ex amanti, ex uomini-animali, ex animali e ex comodini, tutti, mi hanno rimproverato l' incapacità di dire ti amo. Tipo I love you. Tipo amore mio, tipo cose così.
A tutt'oggi non riesco ancora a spiegare in maniera efficace il tipo di sganasciamento che mi sale quando provo a dire una roba del genere.
Mi spiscio.
E' finto.
E' semiserio.
E' banale.
Banalissimo.
E' harmony, è vanzina, è pop, è fotoromanzo, è coatto, è finto, finto l'ho già detto?
E' inflazionato, è ripetitivo, ma a quante cazzo di persone uno, nell'arco della propria vita, può dire ti amo?
Cominci che hai 12 anni e finisci a 70? Non vi pare un tantino eccessivo?
Io, per me, lo trovo eccessivo ma soprattutto comico. Troppo comico.
Una volta Particella di sodio mi ha detto che in una scuola coatta di alunni coatti nella periferia di Roma in cui ha insegnato per un po' prima di fuggire, i buzziconi dicevano alle buzzicone: Ti lovvo.
Ora, mi spiegate come minchia si fa a non ridere, quando uno ti dice ti amo? Io penso a ti lovvo, che mi rimanda a ti loffo, che mi rimanda a fuffa, che mi rimanda Storace e allora, capite che è un attimo, che la serietà va a farsi fottere.
Ti amo.
Non ce la farò mai.
Forse sono un micascisto.