sabato 2 maggio 2009

PENSO

Mentre lavo i piatti sento un rumore di stoviglie sopra la mia testa, alzo gli occhi, anzi non li alzo neppure, per fatalismo, e penso che un giorno mi cadrà in testa la pentola per la pasta, quella grossa, quella da 10 litri e morirò per commozione cerebrale.
Poi penso che sarebbe bello avere una lavastoviglie ma non c'è spazio nella mia cucina-ingresso-disimpegno del Pigneto, in una casa che non è la mia ma di un certo P. residente a Campoli Appaennino in un posto assurdo tra la Ciociaria e l'Abruzzo.
Così penso che finché non avrò una casa mia, nella mia vita non ci potrà mai essere nessuna lavastoviglie ma poi penso che io una casa ce l'ho solo che nella mia casa ci abitano studenti del sud fuori sede e allora un po' mi sento in colpa per il mio essere palazzinaro ma poi poi penso che, che cazzo, io non sono un palazzinaro, ho solo un appartamento in un quartiere che sta diventando sempre più figo agli occhi di quelli che non ci abitano e che ti dicono, uh, il Pigneto, che figo, e che si, un po' lo è ma molto anche no.
Poi mentre squarto tre trote pescate in un lago che si chiama lago di Trigoria dove si allena la Roma, la Roma squadra di calcio, penso che ieri ho bucato con free e questa sera mentre avevo le trote in macchina ancora piene nella pancia di tutte le interiora, sono andata a recuperarlo lì dove lo avevo lasciato, a Porta Furba in cui non solo le porte ma anche gli esseri umani lo sono, furbi dico, e vedo che mentre il mio free era lì, sgonfio bucato di gomma, qualcuno nella notte lo aveva svuotato di tutta la benzina residuale che c'era nel serbatoio e me lo vedo quel qualcuno di notte svuotare il serbatoio del mio free che era anche a riserva, tra l'altro, e penso: che poveraccio, penso.
Che poveraccio quello che deve di notte andare in giro a rubare la benzina dai serbatoi dei free bucati abbandonati a un palo dalle farfallule. Allora dico: che deprivazione culturale, dico. Che povertà di mezzi, dico.
Che pezzi di merda, dice Big Dick. Che delinquenti, dice Big Dick. Allora penso allo spettacolo di Ulderico Pesce, allo spettacolo sul triangolo degli schiavi, a quando racconta di un caporale pugliese che ammazza a sprangate un negro raccoglitore di pomodori, clandestino, solo, povero e schiavo.
Un clandestino solo, negro, povero e schiavo.
Penso a quanto il caporale debba essere deprivato e povero e solo e schiavo anche lui.
Schiavo anche lui.
Animale, dice Big Dick al caporale. Dice che al di là di una certa soglia, animali si è.
Io dico schiavo anche il caporale, schiavo anche lui. Schiavo e vessato, abituato a subire violenze inaudite e poi diventato caporale.
Dico.
Poi mentre compro la lonely planet dell'Andalusia e penso che bello, che vorrei viaggiare tutta la vita che chissenefrega dei soldi, dei libri, del lavoro, della fatica, della tristezza della pioggia delle rughe dei capelli che si allungano, penso che bella l'Andalusia, dove c'è caldo, minchia che caldo, fino a 45°, e c'è Granada e è una città che ci siamo ripresi solo pochi secoli fa. Ma noi chi poi, penso.
Noi chi?
Voglio studiare l'arabo , penso. Che bello l'arabo. Bello il mondo arabo, che fascino la cultura araba, penso.
Penso anche di avere un gran culo a non essere nata nel mondo arabo.
Poi mi guardo allo specchio e vedo che in effetti un gran culo ce l'ho davvero. Non avrò tette, ma un gran culo ce l'ho davvero.

Che figata la cultura araba. Penso.
Tutti quei maschi che passano ore infinite nei bar per soli maschi e sono astemi.
Tutti quei maschi che fa sempre caldo che le donne che hai ti amano per sempre altrimenti fanno una brutta fine.
Evviva i migranti, penso, io che sono piantata a terra come un culo di radice di quercia secolare.
Evviva i migranti, penso.
Penso alla domanda di lavoro che dovrò fare che devo scegliere 4 province di questo misero sputo di lingua di terra fatta a cazzo tra colline e pianurucole e colline e degrado.
Cagliari, penso.
Cagliari è una bella città, l'ha detto Flavio Soriga.
Torino, penso.
Torino è una bella città, l'ha detto Big Dick.
Ferara, penso.
Ferrara è una bella città, lo dicono tutti.
Reggio Emilia, si è detto.
Reggio Emilia è una città.
Roma.
Roma è una radice di quercia secolare.

Ieri ho avuto in regalo due biglietti per i quarti di finale dell'internazionale di tennis al Foro italico.
Ogni biglietto al prezzo di 590 euro.
Un unico biglietto.
590 euro.
Che culo, ho detto. Poi mi sono guardata allo specchio e ho visto che in effetti un gran culo ce l'ho davvero.
Che ho un culo portentoso e che ne devo andare orgogliosa.
E quel culo poi l'ho poggiato sul sediletto n. 9 della tribuna centrale dell'ala Monte Mario, e i giocatori giocavano a un livello mai visto che nemmeno le palline si vedevano tanto erano veloci che io mi chiedevo: ma come cazzo è che fanno a vederle, le palline, e a colpirle, le palline?
Poi ha vinto un tipo, un cileno, un certo Gonzalez, Fernando, che i fans di Fernando il cileno facevano un gran casino per tutto il tempo, dai Fernando, dai! e poi effettivamente lui ha vinto e chissà sta sera contro chi si è battuto e chissà che fine ha fatto, se ha vinto, se è andato in semifinale Fernando, ma infondo, non me ne frega un cazzo.